L’ispirazione può arrivare in qualsiasi momento? Forse! Molti sostengono che sia un atto dionisiaco, trascendente o meglio ancora un processo naturale, addirittura un dono. Con queste premesse è facile credere che non esista modo per riprodurla –per così dire– artificialmente, in laboratorio. Invece sì, esistono diverse procedure, metodi, strumenti ed esercizi per replicare sinteticamente la dittatura dell’ispirazione creativa. Come tutte le competenze, anche quella della creatività si può svilupppare in maniera importante attraverso la pratica quotidiana.
Tempo addietro, abbiamo descritto nel dettaglio il metodo cartesiano sviluppato dal designer Bruno Munari per asservire la creatività all’uso artistico e all’industrializzazione delle idee. Qui invece analizzeremo il metodo della coreografa americana Twyla Tharp che utilizza i rituali come strumento ineccepibile per farsi trovare pronta all’arrivo dell’idea giusta.
La paura di cominciare
Iniziare è sempre complicato. Una tela immacolata, un foglio bianco o un file digitale ancora fermo a zero byte possono spaventare la persona nel suo atto creativo e fargli rimandare il momento dell’inizio. Per alcuni la paura può essere così forte da bloccare completamente l’azione. Dare il via a un nuovo processo creativo, infatti, può generare frustrazione, ma rappresenta il fulcro del lavoro di chiunque faccia un lavoro creativo: dall’artista al matematico.
È importante saper approcciare i nuovi inizi ed essere in grado di darsi una disciplina attraverso la pratica quotidiana. Il genio esiste. Wolfgang Amadeus Mozart è un esempio, ma non si è seduto sullo sgabello immobile in attesa di una ispirazione divina. Fu il padre a iniziarlo sin da piccolo, e fu il compositore a lavorare duramente per raggiungere quel livello.
Il rituale di partenza
Avere dei rituali facili da ripetere riduce le possibilità di fallire e di non mettersi a lavoro. Io, per esempio, accompagno mia figlia a scuola e prima di salire in studio mi fermo nel bar sotto casa a prendere un caffè. Il segreto per fare in modo che il rituale funzioni è associarlo a qualcosa di piacevole. Un gesto semplice che ci aiuti ad alzarci la mattina dal letto e che inneschi la miccia della voglia.
Questa strategia serve a contenere e disarmare il calo di motivazione oltre ad avvicinarsi ogni giorno un po’ di più al proprio obiettivo. È difficile, se non impossibile essere creativo a comando. Ecco perché un’alternativa per continuare a produrre è lavorare tutti i giorni, celebrare i picchi e perdonarci i cali di creatività. La soluzione è continuare a creare, anche senza motivazione, perfino quando non ci si sente ispirati. Importante: metti una croce sul calendario tutte le volte che il rituale funziona.
Un altro rituale arriva direttamente dall’esperienza di Ernest Hemingway. Lui, infatti, sceglieva di lasciare il lavoro nel bel mezzo di qualcosa. Perché? In questo modo, sapeva già cosa voleva fare dopo. È il modo migliore per essere sicuri di riprendere il giorno seguente e di riuscire a produrre risultati senza sperimentare ogni volta l’imbarazzo dell’inizio. Hemingway finiva le sue sessioni di scrittura nel mezzo di una frase, costringendo sé stesso a riprenderla il giorno successivo.
Paura e distrazione
Paure e distrazioni sono pericolosi demoni che possono bloccare sul nascere ogni progetto creativo. Twyla parte proprio dalle sue paure, per affrontare questo argomento: paura che le persone ridano di lei, che qualcuno abbia già fatto ciò che sta pensando di fare, paura di non aver niente da dire, di far arrabbiare una persona amata, di accorgersi che l’idea realizzata non è bella come sembrava immaginandola. Non bisogna lasciare spazio a queste paure, altrimenti bloccheranno ogni impulso creativo.
L’altro ostacolo da superare sono le distrazioni, in cui spesso siamo immersi. Film, musica, multitasking sono alcune distrazioni che l’autrice non ammette nella sua vita, specialmente quando ha bisogno di lavorare. Ciò che suggerisce non è uno stile di vita totalmente improntato all’austerità, non è la vita in un ambiente privo di stimoli esterni. Ma per creare davvero, sostiene, c’è bisogno di lasciare fuori tutto il resto del mondo per concentrarsi sull’attività in corso, lasciare che la consapevolezza affiori e la creatività si liberi.
La scatola del progetto
Per sincronizzare la nostra concentrazione con il progetto che stiamo realizzando è necessario non solo organizzare il lavoro, ma localizzarlo. L’autrice Twyla suggerisce il metodo della scatola che può essere fisica o digitale. Ogni volta che si inizia un nuovo progetto creativo, bisogna prendere una semplice scatola di cartone, scriverci sopra il nome del progetto e poi metterci dentro tutte le risorse e i materiali raccolti strada facendo. Ovviamente lo stesso è fattibile anche con una cartella digitale del device che stiamo utilizzando per lavorare. Questa azione oltre a rappresentare in modo concreto l’impegno verso il progetto, va a costituire l’archivio, sia come insieme dei materiali a cui si può ricorrere nel caso in cui manchi l’ispirazione sia come traccia del processo creativo. Beethoven, per esempio, scriveva tutti i suoi appunti su una serie di quaderni.
Fare, fare e ancora fare
I primi passi di un atto creativo sono casuali e caotici. Inizia con la raccolta dei materiali, fai ricerche, concentrati sui dettagli e osserva ciò che ci circonda. Secondo lo psicologo americano Stephen Kosslyn, il processo che porta all’idea si può suddividere in 4 fasi: generazione, conservazione, esame, trasformazione. Per generare l’idea usiamo la memoria, l’esperienza o un’attività. Per conservare l’idea dobbiamo prenderne nota il prima possibile. Nell’idea di farci trovare sempre pronti è bene mettere sul comodino di fianco al letto un bloc-notes su cui annotare le idee e i sogni della notte. Usiamo invece le note dello smartphone o il suo registratore per annotare le idee della giornata. Per esaminare l’idea dobbiamo studiarla, provare a fare collegamenti e deduzioni a riguardo. Per trasformare l’idea dobbiamo modificarla fino a quando non ci accorgiamo che risponde a ciò che stiamo cercando.
Spesso le idee nascono per risolvere dei problemi o soddisfare le necessità delle persone. È fondamentale tenere presente due cose. La prima è innamorarsi del problema e non della soluzione. Quest’ultima inoltre dovrebbe sempre essere sottoposta alle considerazioni delle persone che hanno quel determinato problema o esigenza. Ascoltare è importante. Non a caso abbiamo due orecchie, ma una sola bocca.
E se ci si blocca? L’autore Earl Nightingale suggerisce di scrivere su un pezzo di carta il problema. Ammettere di avere un blocco è il primo passo per cercare la soluzione. Una volta identificato il problema si può proseguire con tutte le idee che vengono in mente per la sua risoluzione. Ne servono almeno venti. Questo numero è il minimo indispensabile. E non chiedere la soluzione a ChatGPT. In teoria, una delle ultime dovrebbe rivelarsi utile per uscire dal blocco.
Gioisci per il fallimento
La nostra cultura nega l’idea di fallire, ma il fallimento è una risorsa. È un rischio che tutti corriamo, nel momento in cui cominciamo un’attività. I migliori fallimenti sono quelli che avvengono nel privato, quando siamo nell’atto di creare e di provare. Fallire in privato è utile per migliorarsi e ci impedirà di fallire spesso in pubblico. Ma soprattutto, quante più idee sbagliate riusciremo a sperimentare nel privato ci permetterà di trovare quella giusta. Reprimere le cattive idee per paura del fallimento e del nostro giudizio, impedisce alla creatività di trovare sfogo. È necessario imparare a lavorare liberi da questi pensieri. L’idea giusto arriva nell’accettazione della possibilità di fallimento.
Infine, per capire quanto il tuo brand sfrutta il suo potenziale, investi qualche minuto del tuo tempo nel compilare il ROI Test. Scopri di cosa si tratta. Non è un esame, ma potrebbe darti molte soddisfazioni.