Che peccato, però, che i clienti siano a volte così puntigliosi sul testo (che in pochi si filano) e siano invece così pressapochisti sulle immagini che invece guardano tutti. Mah!
Quello che hai appena letto è lo sfogo di un copywriter. Il copy, detto famigliarmente, è all’interno di un’agenzia di comunicazione il professionista che si occupa della scrittura. Può essere il claim di un prodotto. A volte semplicemente le tante brevi scritte che trovi nel layout di una confezione, come quella del dentifricio. Ma compito del copy è anche lo storytelling di un prodotto. Il suo racconto.
Ecco, quel testo in forma di e-mail è stato spedito proprio alla chiusura di un lavoro di storytelling all’account di riferimento, cioè al professionista dell’agenzia che si occupa di capire cosa il cliente vuole. Una sorta di psicologo, ma più pragmatico. Poche parole che sintetizzano la delusione di un appassionato. Perché, sembrerà banale dirlo, ma senza la passione il copy non riesce a trasmettere emozione a ciò scrive.
Amanuense che, a più riprese, viene corretto, bacchettato, messo sotto pressione, su ogni singola parola o sfumatura di testo. E non da un solo referente. Magari ad accanirsi sono in diversi. Come se lui, che ogni giorno flirta con le parole, a un certo punto le buttasse lì tanto per. Perché? Perché la scrittura non è vista come un’opera d’arte, ma è un servizio espresso. Allitterazioni, ossimori, anafore non sono pennellate, ma spray per la pulizia di scrivanie e bagni.
Cosa vuoi che sia. Togli un aggettivo da qui. Aggiungi un avverbio lì. Non ci vuole molto.
Non mi piace questa parola, aspetta che te la cambio con quest’altra.
No, però evitiamo di dilungarci su questo. Mettiamo piuttosto!
Eppur sappiate, miei cari correttori di bozze non vostre, che ogni singola parola, ogni spazio, ogni virgola è lì perché è stata concepita per stare lì. Quella posizione. Quella parola. Non un’altra. La sequenza delle parole nei testi ha lo stesso vincolo di libertà dei nucleotidi all’interno del DNA per determinare un gene. Cambiare la sequenza, significa modificare il gene e ottenere qualcosa di diverso da ciò che si era inizialmente chiesto soprattutto se il testo è destinato a essere dato in pasto al web in cui le regole per farlo apprezzare a quante più persone possibili sono davvero complesse.
Ma poi, arriva il momento delle immagini. Quelle che dovrebbero focalizzare l’attenzione ed essere rappresentative del testo. Qui l’attenzione del cliente è inversamente proporzionale a quella dedicata al testo. Eppure, anche in questo caso, ci deve essere una stretta correlazione tra parole e visual. Un rapporto stretto e intimo come quello che esiste tra un seme e il terreno che gli permette di germogliare. Eppure no. Perché far cambiare le parole. Far ripensare a un testo non richiede alcun costo aggiuntivo. Basta che il copy rimetta le dita sulla tastiera e scriva altro.
L’immagine invece no. Richiede una serie di attrezzature. Richiede un set, che non sempre è disposizione del fotografo. I costi per rifare lo scatto di un’immagine si ripetono in toto anche se il cambiamento è parziale, minimo o indifferente. E allora si tende a lasciare le cose come sono. Un errore molto grave perché l’immagine è il primo e a volte unico elemento che il cliente ha per concentrare tutta la propria attenzione su un determinato prodotto. Prima, molto prima delle parole che si leggeranno è l’immagine ad attrarre le persone.
E per capire quanto il tuo brand sfrutta il suo potenziale, investi qualche minuto del tuo tempo nel compilare il ROI Test. Scopri di cosa si tratta. Non è un esame, ma potrebbe darti molte soddisfazioni

