Cambiare e agire diversamente è qualcosa di davvero difficile soprattutto se la nostra attività lavorativa va a gonfie vele. Generalmente il cambiamento è la reazione a uno stimolo esterno e ce ne accorgiamo solo quando la consuetudine diventa troppo dolorosa da portare avanti. Spesso, però, quando si arriva a questo punto è tardi per trovare una soluzione a breve termine capace di riportare alle origini lo status quo. Allora come fare?
Il ragionamento è tanto breve quanto efficace ed è applicabile non solo in ambito lavorativo. Un pensiero che se abbracciato porta istintivamente a compiere gesti validi in tutti gli ambiti della vita umana. A raccontarlo è lo psicologo e accademico canadese Jordan Bernt Peterson durante un TED Talks del 2011. Sono passati diversi anni, ma la sua ridefinizione della realtà è tuttora un valido aiuto per chi vuole abbracciare il successo. Il professore afferma che le persone soffrono perché fraintendono profondamente ciò che è reale. «Non vediamo ciò che è veramente fondamentale poiché schermato dalle cose più facili da percepire. Così non capiamo ciò che è più genuino e importante. Crediamo che il mondo sia fatto di oggetti. Direi piuttosto che il mondo è fatto di caos e ordine e la qualità della nostra esistenza dipende da come ci bilanciamo tra di essi.» In queste poche frasi si riassume ciò che già noi tutti sappiamo. Ma un conto è saperlo, un altro è metterlo in pratica.
Lo psicologo definisce, infatti, il caos come ciò che si manifesta quando non conosciamo ciò che guardiamo. Quindi per fare degli esempi, il caos è quando assistiamo a un attentato terroristico; è il compagno di una vita che ci rivela una relazione extraconiugale; è ciò che ci travolge quando muore qualcuno che amiamo perché il caos è l’ignoto, l’inaspettato, l’anomalo. Ma è anche la fertilità della natura. È l’oceano delle possibilità che circonda il territorio della nostra cultura umana. È l’acqua della vita che porta il nutrimento agli assetati dai loro aridi preconcetti. Caos è anche quello che incontri quando vai con coraggio dove nessuno si è avventurato. Il caos è la madre di tutto la cui radice latina genera le parole matrice e materiale, insomma, la sostanza della realtà.
L’ordine al contrario è dove sei quando tutto va bene, quando il treno è puntuale; quando hai una casa felice e sicura. L’ordine tiene pulita la sala operatoria. Ordine è ciò che Dio ha richiamato dal caos all’origine dei tempi per offrirlo agli uomini e alle donne come dimora sicura. È un’isola di stabilità in un mare di ignoranza, è lo Yang dei Taoisti. È la muraglia di una città; i principi della costituzione; l’uniforme della polizia. Ordine è la pietra che resiste e tiene a bada i barbari. Portato all’estremo però, l’ordine diviene un tiranno e minaccia l’anima. Quando non sappiamo più uscire dagli schemi o erriamo senza meta e poi anneghiamo nella troppa possibilità, vogliamo la tirannia perché detestiamo l’ignoto. Oppure abbracciamo l’anarchia perché rifiutiamo la responsabilità. Ad ogni modo, ci esponiamo al principio contrario.
Troppo ordine fa collassare sempre più nel caos. Al contrario, troppo caos risveglia i demoni del totalitarismo dai crepacci in cui si nascondono. E quindi? Nella propria vita, le persone cercano il senso. È quello che i credenti buddisti, ebrei o cristiani -poco importa a quale credo si appartenga- chiedono rivolgendo le proprie sofferenze verso l’eterno. Il senso! Il senso, dice Peterson, non è un fenomeno razionale. Lo percepiamo con l’essere, non con l’intelletto che dovrebbe guidare piuttosto che seguire. Quando il caos e l’ordine sono bilanciati, abbiamo un piede in ciascun dominio. Questo è il senso da cui dipende ampiamente la vita; in quel posto siamo al sicuro e fiduciosi, ma privati del tanto che basta per stare all’erta e svilupparci. In quel posto giochiamo a ogni gioco, non solo per vincere, ma per essere giocatori migliori nelle partite del futuro. Questo senso, opportunamente nutrito, produce amore per la vita e una gratitudine così profonda che le terribili limitazioni dell’essere sono giustificate. È in questo modo che il paradiso viene riconquistato.
L’alternativa è vivere una vita sbilanciata. Questo non va bene, perché le terribili forze di caos e ordine distruggeranno una persona senza equilibrio. Ci si sentirà sopraffatti senza speranza, rancorosi, vendicativi, e infine, crudeli. Diventeremo ostinatamente ciechi, fino a diventare ottusi. Quando la vita è sbilanciata le persone la ostacolano, perché sono infuriati con le orribili, limitate condizioni dell’esistenza. Al diavolo! Questa è l’imprecazione degli inaspriti. L’inferno è dove sono diretti, dove vorrebbero trascinare chiunque altro.
Ma come dovrebbe vivere una persona? Sebbene possa sembrare una domanda empirica e non razionale è bene iniziare dall’osservare noi stessi, proprio come se fossimo qualcuno di cui sappiamo veramente poco. Prendiamoci un istante per capire se dove siamo è esattamente dove vorremmo essere. Non è solo una questione di luogo, ma soprattutto di pensiero, di voglia di fare, di necessità di sperimentare, di volontà di crescere. Accorgiamoci di quando non lo siamo. Osserviamo e alleniamoci a essere sempre di più dove vorremmo essere. Là saremo più vicino al paradiso e più lontano dall’inferno. Facciamo tutto quello che è necessario per stare lì. Dopo un mese di esercizio costante saremo nel posto giusto più spesso. In un anno ancora più spesso. In tre anni, con un po’ di fortuna, la maggior parte del tempo. È da un inizio così piccolo che nascono grandi cose, nella vita privata come nel lavoro.