Se sul bigliettino da visita troverete la qualifica DE&I Manager non spaventatevi. Anzi, rallegratevi. Si tratta del Diversity, Equity & Inclusion Manager. Un Leviatano del post-Covid nato da una crasi tra il cacciatore di Cappuccetto Rosso e la giovane donna della Bella e la Bestia. Questo ruolo, identificato come uno dei 12 profili professionali emergenti, sarà incaricato di guidare le organizzazioni attraverso le sfide dell’inclusività. Il suo compito è sviluppare programmi che promuovano uguaglianza e equità. Una figura che sta già diventando fondamentale per le aziende che mirano a rimanere competitive e attrattive.
Eh sì, dopo il letargo generato dal lockdown, molte aziende si sono trovate ad affrontare la great resignation, il fenomeno dei licenziamenti volontari di massa. Così, il mondo del lavoro è diventato testimone di una metamorfosi accelerata, spinto non solo dalla rivoluzione tecnologica ma anche da una crescente richiesta di equità e inclusività, in particolar modo dalla Gen Z. Il recente studio Stranger Skills, condotto da PHD Italia, sottolinea proprio questo cambiamento di paradigma, evidenziando quanto le nuove generazioni valutino la cultura aziendale prima ancora del salario.
Il 60,8% dei nuovi lavoratori, e ancor di più tra le donne, vede l’impegno aziendale verso l’equità, la diversità e l’inclusione come il fulcro del loro lavoro ideale. Incredibilmente, la salute mentale e fisica è ora più importante del semplice salario. Ma nonostante queste aspirazioni progressive, le disuguaglianze, in particolare il gender gap, persistono, come evidenziato dal Global Gender Gap Report 2023 e da altri sondaggi condotti in Italia.
Lorenzo Moltrasio, Managing Director di PHD Italia, ha evidenziato che i dipendenti cercano un reddito psicologico, ovvero un lavoro che fornisce non solo guadagni finanziari, ma anche soddisfazione personale e sociale. La necessità di attenzione alla salute mentale, politiche flessibili e una leadership etica sono ora prioritari.
Ecco perché in mezzo a questa trasformazione, è necessario che emergano figure come quella del DE&I Manager (Diversity, Equity & Inclusion Manager). La ricerca ha evidenziato un interesse marcato verso questo ruolo, con un terzo delle aziende e dei responsabili delle risorse umane che vedono in esso una figura strategica. I benefici di una cultura aziendale inclusiva non sono solo ideologici, ma si traducono anche in vantaggi economici tangibili. Uno studio del Boston Consulting Group ha rilevato che la diversità potrebbe portare a un incremento del 9% degli utili operativi.
Francesco Baglioni, direttore del Progetto Itaca, però, ha sottolineato l’importanza di non fermarsi alle soluzioni superficiali. Le attuali iniziative di wellbeing da ufficio come la meditazione, lo yoga o la palestra, sono certamente utili, ma non possono sostituire interventi più profondi e strutturali. Non serve offrire una roba in più che rischia di essere un altro to-do nella lista infinita delle cose da fare all’interno di una giornata. Baglioni suggerisce di affrontare la tossicità presente nelle dinamiche di lavoro, che spesso è la causa principale del malessere dei dipendenti.
Il DE&I Manager rappresenta una risposta diretta alle esigenze delle nuove generazioni di lavoratori. Mentre il mondo del lavoro continua a evolversi, le aziende devono essere proattive nell’adattarsi, non solo implementando nuove tecnologie, ma anche costruendo un ambiente lavorativo che rispetti e valorizzi ogni singolo individuo. Solo così potranno attrarre e trattenere i migliori talenti e garantirsi un futuro prospero.