Delegare: incaricare altri di compiere un atto in vece propria.
Dall’altro lato della medaglia abbiamo invece accentrare cioè attirare su di sé, concentrare intorno a un solo o a pochi organi funzioni vaste e differenti. A scrivere queste due definizioni è il Dizionario Zingarelli. La tendenza di questi ultimi anni, dopo l’esempio della fabbrica piatta di Marchionne, è senza dubbio la nuova capacità degli owner e dei manager di saper delegare. Questo è vero se inseriamo nelle attività di delega il fare le fotocopie e andare a prendere il caffè.
Per tutto il resto la tendenza reale è accentrare. Accumulare cose da fare, perché come le sappiamo fare noi, nessuno! E questo succede a qualsiasi livello. Dai componenti della squadra che di sera si occupano della pulizia degli uffici, al team di manager fintech impegnati a salvare il mondo della finanza.

La verità è che delegare è un doppio atto di fiducia. Verso sé stessi e verso il prossimo. Certo, l’altro, il diverso da noi non può essere chiunque passi per strada. Per fidarsi di lui, è necessario fidarsi prima di noi che lo abbiamo scelto. Ma per scegliere la persona giusta bisogna saper ascoltare. E dove si ascolta meglio? Dalla Torre dell’orologio dove arrivano solo informazioni riportate da una scala gerarchica oppure in mezzo alla gente in presa diretta? Non a caso, ha avuto un successo internazionale Undercover Boss, la serie TV in cui il presidente o comunque un alto funzionario di una grossa società si camuffa da apprendista per tuffarsi nella realtà della propria azienda e scoprire così cosa pensano e come agiscono i propri dipendenti. Certo, qualche dipendente farabutto è stato anche licenziato, ma quante persone hanno dimostrato di metterci il cuore in tutto quello che viene chiesto loro di fare senza avere un controllore assillante. Persone integre, con una morale, capaci di prendersi un impegno e di portarlo a termine indipendentemente dallo stipendio. Si fa perché è giusto farlo.
Ricordo ancora quando scrissi il mio primo discorso per il CEO della prima società che aveva creduto in me come addetto stampa. Avrei dovuto prima passarlo ai miei responsabili, invece, per errore lo mandai direttamente a lui. Non parlò con il mio direttore e nemmeno con il direttore del mio direttore. Una mattina entrò in ufficio e mi disse, «ho da farti leggere una cosa che ho scritto». Da quel giorno lavorai direttamente con lui.

Non solo i manager, ma ogni singolo dipendente della società ha bisogno di sentirsi responsabilizzato. Non è una questione di potere, ma di provare piacere nel far liberamente un lavoro. Alla Scuola Montessori lo insegnano dalla Casa dei bambini e cioè dall’età di 3 anni. Ogni classe ha bambini di 3, 4 e 5 anni in numero tendenzialmente omogeneo e ciascuno di loro, a rotazione, deve assumersi un incarico settimanale. C’è il bambino che scrive sulla lavagnetta il giorno della settimana e lo ripete ogni volta che si inizia un lavoro di gruppo. È quello preferito da mia figlia Sibilla. C’è quello che cura i pesci rossi o i gerbilli. E quello che innaffia le piante. C’è poi quello che prepara la tavola, oppure che distribuisce il pane per il pranzo e via discorrendo in maniera tale che ogni componente della classe abbia un ruolo ben definito e un compito assegnato per tutta la settimana. I bambini Montessori hanno l’abitudine di prendersi la delega e di portarla a termine nel migliore dei modi, senza il bisogno che la maestra li redarguisca ogni 5 secondi.
Se una maestra della scuola dell’infanzia riesce a delegare una ventina di incarichi ad altrettanti trottolini, a maggior ragione un’impresa di manager dovrebbe autogestirsi senza nemmeno la figura del padre padrone. Basterebbe un vero leader il cui scopo quotidiano non sia solo quello di fatturare, ma di creare un ambiente idoneo allo scambio e alle interrelazioni tra chi progetta e chi fa. Quante meno tensioni. Quanto sorrisi in più. Quanto stress in meno.
Tempo fa intervistai Domenico Schiattarella, all’epoca Team Manager della squadra di piloti Maserati. Gli chiesi come si facesse ad andare più veloce. Senza pensarci due volte, mi rispose che «il più veloce è quel pilota che sbaglia meno degli altri». Evitiamo di sbagliare ad accentrare tutto su di noi. Iniziamo a lavorare in mezzo alle persone. Ascoltiamole e deleghiamo loro ogni volta che c’è la necessità e la possibilità. A correre più veloci saranno i risultati. Infine, per capire quanto il tuo brand sfrutta il suo potenziale, investi qualche minuto del tuo tempo nel compilare il ROI Test. Scopri di cosa si tratta. Non è un esame, ma potrebbe darti molte soddisfazioni.